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ARCHIVIO

Anna Maria Maruccia

PER UNA STORIA DELLA TEORIA DEL CAMPO


Quando mi sono approcciata al titolo che avevo scelto di svolgere mi sono resa conto di aver preso un granchio. Arduo pensare di poter essere esaustiva su un tema, la teoria del campo, che si è arricchito grazie ai contributi di molti psicoanalisti, ciascuno apportando  una propria visione, per cui vorrei subito precisare che ciò che avevo in mente era qualcosa di più circoscritto. Desideravo fare un omaggio ad uno psicoanalista poco noto,  le cui intuizioni sono state fondamentali per lo sviluppo della teoria del campo. Si tratta di Enrique Pichon – Rivière, maestro riconosciuto di generazioni di psicoanalisti argentini, socratico nella sua capacità di pensare e di insegnare, socratico nella sua riluttanza a lasciare scritti esplicativi del suo pensiero.

Negli anni ’40 Pichon-Rivière è stato tra i fondatori della Società Psicoanalitica Argentina. Pensatore originale, curioso, attento ai contributi della psicologia sociale,  della filosofia,  della fenomenologia era convinto che la psicoanalisi, pur disponendo di una teoria e di una tecnica capace di investigare nel profondo, non era in grado da sola di offrire strumenti adeguati per favorire lo sviluppo di una psichiatria sociale. Il suo sguardo si allargava sino considerare tre campi di ricerca: l’individuo, il gruppo, l’istituzione, interagenti tra di loro. Sviluppò il concetto di ‘vincolo’ o ‘legame’, che va ben oltre il concetto di ‘relazione oggettuale’, così come era stato descritto dalla Klein. Per la Klein le relazioni vanno sempre intese come relazioni con gli oggetti interni, relazioni intessute di fantasie inconsce. P-R, pur condividendo il portato intrapsichico delle relazioni, era propenso a considerare   il soggetto e l’oggetto comunque situati in un contesto sociale specifico, determinante per apprendere dalla realtà. Per P-R l’idea del vincolo include il comportamento: “Possiamo definire il vincolo come una relazione particolare con l’oggetto…., la cui forma particolare è un ‘pattern’, un tipo di comportamento che tende a ripetersi  tanto nella relazione interna  come nella relazione esterna con l’ oggetto.” Attraverso il concetto di vincolo P-R potrà ampliare l’idea stessa di relazione fino a comprendere lo spazio e gli oggetti animati e inanimati: “…possiamo stabilire un legame con la scatola di fiammiferi, con l’accendino, con un libro, con una sedia, con un tavolo, con una casa. E ciascuno di codesti legami ha un significato particolare per ciascun individuo. Nel legame viene implicato tutto e complicato tutto. “ ( (Teoria del vincolo).  Queste riflessioni sul vincolo  implicano l’idea di una parte  indifferenziata della persona che viene depositata con modalità relazionale  simbiotica, idee che verranno sviluppate da Bleger nel suo libro “Simbiosi e ambiguità”. Dice Bleger “la simbiosi è la relazione che mantiene immobilizzata e controllata la parte psicotica della personalità”.

Questa visione ‘sociale’ lo portò a interessarsi dei gruppi e del loro funzionamento. Va detto che una delle sue prime esperienze gruppali  si svolse in un istituto psichiatrico quasi contemporaneamente all’esperienza di Bion a Northfield.  Nell’ospedale psichiatrico di Las Mercedes lavorò con gruppi di infermieri e di pazienti. Si rese conto che attraverso il lavoro di gruppo aumentava la capacità  di concettualizzare, di acquisire più consapevolezza.  Grazie a queste esperienze mise a punto la concezione dei Gruppi opertivi. L’ottica di campo la mutuò dagli studi di Kurt Lewin. Il campo definisce uno spazio in cui le interazioni possono rappresentarsi come vettori che mostrano la direzione e l’intensità. “Questa psicologia topologica e vettoriale si presta particolarmente bene per lo studio sperimentale dei conflitti. E’ topologica nel senso del campo ed è vettoriale nel senso della direzione.” (teoria del vincolo)  Il gruppo si configura come  una  Gestalt, in cui ogni membro è parte del tutto. P-R li chiamerà integranti,  ciascuno contribuisce allo sviluppo del compito, facendosi portavoce di aspetti che il coordinatore individuerà come emergenti del campo. Attraverso la lettura degli emergenti il coordinatore potrà  rendere espliciti i contenuti latenti fino a descrivere una costellazione significativa dei movimenti gruppali . Tale visione portò P-R a privilegiare una lettura intersoggettiva e situazionale rispetto a quella storico-genetica.  Il compito assumerà un ruolo centrale , favorendo la triangolazione necessaria ad innescare lo sviluppo  a spirale: compito, coordinazione, emergente. La  triangolazione pur rinviando al concetto freudiano di complesso di Edipo, assume una connotazione peculiare: il terzo rappresenta l’inconosciuto, tutto ciò che non trovando una sua rappresentazione, spinge per cercare una sua raffigurabilità. Il terzo è l’escluso, che può essere ubicato/depositato in altre persone, nella strada, in qualsiasi luogo. Ne deriva un ampliamento del campo di osservazione fino a comprendere il corpo e non solo il corpo del paziente, ma anche il corpo dell’analista, non solo ciò che il paziente dice, ma anche ciò che non dice, e non solo ciò che l’analista può interpretare, ma anche e soprattutto ciò che resta inespresso: tutto parla! Possiamo cogliere in queste intuizioni di P-R il concetto di bastione che verrà sviluppato dai coniugi Baranger insieme all’idea di una configurazione di campo della situazione analitica come relazione psicoterapeutica bipersonle , nel noto articolo : “ La situazione analitica come campo dinamico”. “Nell’ottica di campo, scrivono i Baranger  “l’analista interviene come parte integrante di un tutto”

Il terzo dunque, pur attingendo alla teorizzazione freudiana del complesso di Edipo, si emancipa a favore di un ampliamento di senso che implica l’idea di un processo di apprendimento con svolgimento a spirale. C’è qui un’assonanza con  il pensiero bioniano che pone al centro K, la conoscenza, insieme ad amore e odio. La terapia come apprendimento e superamento delle stereotipie. Compito del coordinatore nei gruppi e del terapeuta nella terapia individuale è cogliere il punto d’urgenza, la fantasia di base del gruppo e della coppia, esprimerlo attraverso l’emergente, che in un intergioco col paziente porterà a mobilitare parti indiscriminate in una spirale dialettica.

Trovo interessante la visione di P-R del rapporto terapeuta paziente, entrambi compresi nel processo, la posizione del terapeuta di osservatore partecipante gli consente di stare nella relazione in un atteggiamento attivo e recettivo. Quel ’Tutto parla’ anche ciò che resta immobilizzato nel non detto costringe il terapeuta a mantenere un atteggiamento di continua ricerca, a non  restare imprigionato nella sua teoria di riferimento. P-R, che amava definirsi ‘psichiatra sperimentale’, manteneva alta la guardia verso la stereotipia, non solo come espressione del pensiero rigido del paziente, ma come qualcosa che può riguardare anche il terapeuta. Siamo tutti a rischio di immobilizzare la nostra capacità di pensare per evitare le ansie paranoidi che si mobilitano quando affrontiamo un cambiamento. Accedere a nuove forme di pensiero è faticoso e quando abbiamo conquistato una meta vorremmo poterla difendere, ma è proprio qui che si nascondono le insidie. Aderire ad una teoria, desiderosi di appartenenza e di riconoscimento ci conduce inevitabilmente a irrigidire il nostro pensiero,  a vedere ciò che ci è già noto, ma a renderci ciechi verso nuovi aspetti che restano indiscriminati alla nostra vista.

Queste riflessioni ci stanno a cuore, penso alla mia esperienza di terapeuta e di molti colleghi, compagni di viaggio, che nell’arco di alcuni decenni hanno scelto di articolare la propria  formazione  transitando attraverso alcune scuole di pensiero.  Spinti dalla curiosità di apprendere, restii a professare i riti cerimoniosi dell’appartenenza ad una determinata istituzione o scuola di pensiero.

Le istituzioni preservano se stesse, il compito che le ha istituite perde col tempo la spinta propulsiva e si stabilizza in un funzionamento  ripetitivo e conservativo. Bleger svilupperà queste intuizioni di P-R e di Eliot Jacques nel suo interessantissimo e poco conosciuto  libro “Psicoigiene e psicologia istituzionale”. Le istituzioni necessarie come deposito delle ansie psicotiche chiedono in cambio una forma di adattamento versus un’adesione acritica.  Bleger nel descrivere questi meccanismi non pensava a legami patologici, semmai ad una ‘psicopatologia della vita quotidiana’ , vincoli che stabiliamo per garantirci  una base sicura. “Le istituzioni appaiono depositarie delle ansie psicotiche e costituiscono dei sistemi di difesa o di controllo di fronte a tali ansie; ma non sono soltanto le istituzioni a esercitare questa funzione, bensì anche, in egual misura, l’immagine che l’uomo ha di se stesso e di esse.” (Psicoigiene e psicologia istituzionale p.79)  Nella stanza di terapia quella quota parte indiscriminata, la parte psicotica della personalità,la ritroviamo  depositata nel setting, il setting muto, negli oggetti, il non processo che corre parallelo al processo terapeutico .  La resistenza al cambiamento ci riguarda, nessuno di noi ne è esente.

Il gruppo di lavoro, centrato sul compito, dovrebbe avere maggiori potenzialità creative, dovrebbe non strutturarsi come accade nelle istituzioni, intorno a questo tema si sono espressi in tanti: P-R con Bleger, Bion, Meltzer. Ma accade che anche i gruppi di lavoro, esaurito il compito, tendono  a istituzionalizzarsi, scivolando nelle stereotipie e nell’autoconservazione.. Mantenere una curiosità verso più saperi, più fonti, senza lasciarsi confondere è il necessario antidoto.

Da P-R e dalla scuola argentina c’era giunto questo insegnamento. Sembra, per le tracce che ha lasciato nei suoi allievi, abbia mantenuto questa coerenza.  La loro posizione periferica deve essere stata di grande aiuto in questo, lontani dalle diatribe che negli anni 50 e 60 impegnavano le scuole di psicoanalisi in un confronto acceso e sterile, loro erano aperti ai contributi che provenivano da più parti. È stata la loro ricchezza. Tuttavia il sapere non garantisce di essere al riparo da certe ricadute, da arroccamenti ideologici.

Penso che una certa crisi che sta attraversando il mondo psicoanalitico sia dovuto in parte anche a questo. Sono in atto cambiamenti importanti. Le persone che chiedono aiuto lo fanno con modalità del tutto diverse da quanto accadeva fino a un decennio fa. Chiedono di essere aiutate a superare le loro difficoltà non chiedono, il più delle volte, di intraprendere un percorso analitico. Questo richiede a noi un grande sforzo di ripensamento nell’analisi della domanda e nella formulazione di un setting più flessibile. In questo momento storico siamo noi ‘smarriti’, facciamo fatica ad adattare a queste nuove forme le teorie  e i modelli conosciuti. Abbiamo bisogno di ripensare i nostri saperi per essere capaci di accogliere i nostri pazienti.  Dobbiamo essere capaci di transitare oltre. Quanto abbiamo appreso dai nostri maestri e dalla nostra esperienza è la nostra ricchezza, la sfida è di saper affrontare territori sconosciuti senza temere di perdere identità acquisite. In periferia questo sta già accadendo.

Vorrei chiudere con un’ultima riflessione che ci riporta alla giornata di oggi, alla presenza del dottor Civitarese. Penso che non sia casuale aver sentito il bisogno di condividere con voi questi miei pensieri. Del dottor Civitarese ci ha colpito il suo sapere, la sua profonda conoscenza delle teorie psicoanalitiche.  Mantenendo un’ottica di campo lo vediamo dialogare con la psicoanalisi americana, argentina, inglese, francese intessendo un punto di vista personale originale. I suoi libri possono, a volte, non essere di facile lettura, ma è la materia che è di per sé complessa. Nello stesso tempo ci offre un grande aiuto attraverso la descrizione delle sue esperienze cliniche, si mostra al lavoro ed è molto interessante poter cogliere nelle sue parole quella prassi tra teoria e pratica che ha sempre connotato la ricerca psicoanalitica. Non posso non dire che mi ha colpito quando, leggendo il suo libro “L’intima stanza”,  vi ho visto descritto il pensiero di Bleger. Ritrovare Bleger ben collocato tra gli psicoanalisti che hanno contribuito allo sviluppo delle teorie e delle tecniche e  ‘riscoprirlo’ attraverso la sua lucida descrizione mi ha sorpreso e mi ha portata a pensare come le idee seguano percorsi, a volte imprevedibili, e se fertili, spingano per essere conosciute. Bion docet: i pensieri cercano il pensatore. E  a volte occorrono anni perché avvenga la  ‘cognizione’.

Bassano del Grappa 17.10.2015

 

SABATO 21 NOVEMBRE 2015 ore 17,00


LIBRERIA PALAZZO ROBERTI
VIA JACOPO DA PONTE 34
BASSANO DEL GRAPPA (VI)


 

PSICOANALISI DELLA VITA QUOTIDIANA:
L'umanità è in pericolo?

PRESENTAZIONE del LIBRO
di Antonio Alberto Semi

edito da Raffaello Cortina, 2014

 

 

con l'intervento dell'Autore

 

Costruire L'inconscio

 

Si è felicemente svolto il 16 marzo u.s. il convegno con Antonino Ferro, presidente della Società Psicoanalitica Italiana. Notevole la partecipazione di colleghi di diversi orientamenti e diverse discipline.

Il relatore, oltre che per la nota  profondità del suo pensiero, si è fatto apprezzare per la spontaneità dello stile, la libertà di espressione, lo spazio offerto alla co-costruzione, in un'atmosfera di "gioco collettivo" che ha permesso a tutti di trasformare una giornata di dibattito scientifico in una piacevole e affascinante esperienza di confronto e di apprendimento.

 

 

MERCOLEDI' 23 MARZO 2011

LABORATORIO CLINICO “FERITE, CICATRICI E MEMORIE” condotto dal PROF. SALOMON RESNIK. Alla breve introduzione teorica del prof. Resnik ha fatto seguito la presentazione e discussione di materiale clinico esposto dalla dr.ssa Annamaria Maruccia

Subito dopo si è svolto un incontro pubblico di presentazione dell’ultimo libro pubblicato dal Prof. Salomon Resnik dal titolo “FERITE, CICATRICI E MEMORIE”. Sono intervenuti accanto all’autore Luigi Boccanegra (psicoanalista SPI), Renzo Mulato (filosofo) e il Paolo Tito (psichiatra).

La ricca giornata si è conclusa con il vernissage della COLLETTIVA D'ARTE CONTEMPORANEA “FERITE, CICATRICI E MEMORIE” che vedeva esposte opere di Lee Babel, Federico Bonaldi, Renata Bonfanti, Giuseppe Lucetti, Pompeo Pianezzola, Cesare Sartori, Alessio Tasca.


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